Una storia d’amore con il Nord: il mio itinerario di 14 giorni in Islanda
1 ottobre 2021
L’Islanda è stata per me la potenza di una cascata che si infrange sulle rocce, un tramonto ultraterreno, la sabbia nera ingoiata dal mare, il vento gelido che ti taglia la faccia. L’odore dello zolfo, la purezza dell’acqua, il sudore che ti cola sugli occhi, gli odori di un ostello, il sapore del ramen istantaneo, il pesce fritto mangiato con le mani.
Una balena avvistata in lontananza, rocce scure incastonate in un mare in tempesta, i piedi che affondano nella sabbia umida, iceberg che emergono dall’acqua, fiumi che si fanno strada in canyon monumentali. Rocce basaltiche frutto di un’artista che si chiama natura, pecore libere al pascolo, pic nic in compagnia di chilometri di pace e bellezza.
L’Islanda è il verde delle valli, del muschio su una terra aliena, è il nero della roccia vulcanica, della sabbia che sembra provenire dall’inferno stesso, è l’azzurro dell’acqua custodita nei crateri, il blu del ghiaccio, il grigio della polvere vulcanica sui ghiacciai, il rosso del fuoco che erutta dalle fauci della terra.
L’Islanda è tutto questo, è tutti i colori e tutte le sensazioni, tutti gli elementi e tutte le parole di una lingua impronunciabile. E forse è solo così che si può spiegare tutta questa bellezza, con parole anch’esse aliene.
L’Islanda è stata, per me, molto più di un viaggio. Molto più di 14 giorni passati on the road, macinando chilometri su chilometri. È stata un ritorno già alla partenza, un ritorno al viaggio, a quei viaggi in cui diventi parte del Paese, della vita che circonda quel pezzo di terra lontano chilometri da casa. Quelli in cui diventi cittadino di un posto in cui non hai mai messo piede, torni ad essere figlio di una natura di cui ti eri dimenticato, diventi parte di qualcosa di immenso, di bellissimo, potente, annichilente.
E questa è più di una storia qualunque. Questa è la mia storia d’amore con il nord. Buona lettura.
Elisabetta
Giorno 1: Golden Circle
Ci troviamo nel Golden Circle, probabilmente la zona più turistica dell’isola che comprende il Parco Nazionale Þingvellir, Gullfoss, la regina delle cascate, l'area geotermale di Haukadalur, dove si trovano i geyser Geysir e Strokkur e il cratere vulcanico Kerið.
Il parcheggio del Parco Nazionale Þingvellir e l’ingresso a Kerið sono tra le poche attrazioni a pagamento dell’isola.
Partiamo da Reykjavík la mattina, dopo aver passato una notte decisamente non convenzionale al Galaxy Pod Hostel, un ostello i cui letti sono dei veri e propri pod (quelli delle navicelle spaziali per intenderci). Dopo una colazione con i succulenti dolcetti alla cannella di Brauð & Co., ci mettiamo in viaggio lungo la Ring Road, la strada numero 1 che attraversa tutta l’Islanda.
Dopo 40 Km, la prima fermata è il Parco nazionale di Þingvellir, un’area naturale protetta patrimonio dell’umanità dell’UNESCO dal 2004. Il suo nome deriva dalla parola norrena Þingvǫllr e significa “pianura del parlamento”. Fu in questo luogo, infatti, che nell’anno 930 venne fondato dai vichinghi l’Althing, il primo parlamento del mondo. Passeggiando per il parco troviamo varie attrazioni, tra cui la prima cascata del nostro viaggio, Öxaráfoss, la chiesa di Þingvellir (Þingvallakirkja) e l’Almannagjá, una frattura dovuta alla deriva dei continenti, che può essere chiaramente riconosciuta nelle gole e faglie che attraversano la regione.
La pianura di Þingvellir è situata nel punto di confine delle placche tettoniche del Nord America e dell’Europa che si allontanano l’una dall’altra ogni anno da 1 a 18 mm.
Ci spostiamo verso Kerið, un cratere creatosi 6500 anni fa. La terra di un colore rosso acceso contrasta con il blu cristallino dell’acqua al suo interno. È possibile percorrerne il perimetro e scendere fino a toccare la riva di questo specchio d'acqua. Questo cratere divenne particolarmente famoso quando la cantante islandese Björk decise di tenervi un concerto, cantando da una zattera galleggiante sul lago.
Arriviamo all'area geotermale di Haukadalur. Sbuffi di fumi si levano dalla terra mentre un odore di zolfo impregna l’aria. Poco distante un’esplosione: è Strokkur, la sorgente calda della valle che erutta ogni 5-10 minuti.
Geysir in islandese significa “eruzione” e dà il nome a questo fenomeno della natura, oltre che al geyser più famoso, ormai inattivo.
Ultima tappa: Gullfoss, la regina delle cascate. Gullfoss in islandese significa “la cascata d’oro” (Gull=Oro e Foss=Cascata) ed è così chiamata perché quando i raggi del sole colpiscono l’acqua generano riflessi dorati ed un suggestivo effetto arcobaleno.
Giorno 2: Kerlingarfjöll e le Highlands
Dal Golden Circle si possono effettuare diverse gite in giornata, noi decidiamo di recarci nelle Highlands, gli altipiani, le zone meno battute dell’isola, nonché quelle che richiedono di percorrere le temute F-roads, strade sterrate di montagne che necessitano dell’utilizzo di un’auto 4x4, nonché di notevole tempo e pazienza.
La mattina partiamo per Kerlingarfjöll, la montagna della strega, di cui ho raccontato qui.
Giorno 3: Landmannalaugar e le Highlands, Sigöldugljufur e Háifoss
Non è ancora il momento di salutare le Highlands. Ci prepariamo per raggiungere Landmannalaugar, le montagne arcobaleno, ma anche questa è un’altra storia.
Il canyon di Sigöldugljufur
Da Landmannalaugar riprendiamo la strada F208 e, dopo 40 minuti, decidiamo di accostare per ammirare Sigöldugljufur, la “Valle delle lacrime”, un canyon dalle molteplici cascate che si riversano nella valle sottostante.
Háifoss
Ci dirigiamo verso una delle cascate più suggestive del viaggio. Alta 122 m, Háifoss è una cascata elegante e sottile che si infrange con un moto rettilineo sulle rocce sottostanti. L’effetto è incredibile, la vista indimenticabile. Il luogo è sufficientemente isolato da permettere di ammirare lo spettacolo di questa meraviglia della natura senza troppe persone ad affollare gli spazi, godendo dell’atmosfera selvaggia di questa zona dell’isola.
Decidiamo di non fermarci per vedere Hjalparfoss, un’altra cascata sulla strada verso Hvolsvöllur, la cittadina dove si trova la nostra guesthouse. Mangiamo una zuppa d’agnello, piatto tipico islandese, all’Eldstó Art Cafe, un ristorantino intimo e accogliente a pochi passi dal nostro alloggio, prima di crollare a letto.
Giorno 4: cascate, un aereo disperso, spiagge nere e puffin
Gluggafoss, Seljalandsfoss e Gljúfrabúi
Questa giornata sarà all’insegna delle cascate. Cominciamo con Gluggafoss (in lingua islandese: cascata delle finestre), chiamata anche Merkjárfoss, ovvero cascata del Merkjá, dato che è situata lungo il corso dell’omonimo fiume. Si chiama cascata delle finestre in quanto una caratteristica distintiva di Merkjárfoss sono le aperture nella roccia causate dall'erosione delle acque che hanno creato delle vere e proprie finestre.
Proseguiamo verso Seljalandsfoss. La maestosità di questa cascata è visibile da chilometri di distanza grazie alla sua ampiezza e al suo salto di ben 60 m. La bellezza di questo spettacolo sta nel poter percorrere il sentiero che porta sul retro della cascata. Impossibile non bagnarsi, ma la meraviglia è assicurata.
Da qui un sentiero ci porta verso un’altra cascata nascosta tra gli anfratti di un canyon nascosto: Gljúfrabúi. Qui è possibile arrivare addirittura sotto la cascata, a patto che si accetti di bagnarsi completamente da cima a fondo. Questo nascondiglio tra le rocce, così buio e umido, accessibile solo a poche persone per volta, in cui le voci dei bambini vengono spazzate via dall’assordante schiaffo dell’acqua sulla rocce, ci fa sentire parte di una natura spettacolare.
Skógafoss e i migliori Fish & chips che abbia mangiato in Islanda
Sul sentiero per Skógafoss ci imbattiamo in un food truck a pois bianchi e rossi facilmente riconoscibile tra il verde della zona: si tratta del Mia’s Country Grill. Qui si servono solo fish & chips con diverse salse a scelta. La bontà di questo pesce fritto e delle patate rustiche la rende una fermata obbligata prima di inerpicarci lungo i 700 scalini che ci portano sulla sommità di Skógafoss, una delle cascate, se non LA cascata più fotografata d’Islanda. E il perché ci è subito chiaro appena ammiriamo da vicino la maestosità di questo salto di 60 metri. È possibile arrivare fino ai piedi di questa poderosa forza della natura, ammirandone i colori oro e arcobaleno che scaturiscono dai riflessi dell’acqua.
Leggenda narra che il primo vichingo ad essersi stabilito nella zona, Þrasi Þórólfsson, nascose un forziere ricolmo di monete d'oro nella caverna dietro la cascata. Si dice che quando i raggi del sole colpiscono l'acqua, si possa vedere il riflesso dorato delle monete. In molti hanno cercato il tesoro, e un ragazzo ebbe addirittura successo. Dopo aver trovato il forziere, attaccò una corda ad uno degli anelli laterali e iniziò a tirare, ma l'anello si ruppe e il forziere affondò. Questo anello d'argento con incisioni runiche fu in seguito usato come maniglia del portale della chiesa di Skógar e può essere oggi ammirato al museo. A Skógafoss è attribuito anche un potere magico: si dice che chiunque si bagni nelle sue acque possa ritrovare un oggetto perduto e a lungo cercato.
Sólheimasandur Plane Wreck
Nel 1973 un aereo della Marina statunitense fu costretto ad affrontare un atterraggio di emergenza sulla spiaggia nera di Sólheimasandur, nell’Islanda del Sud. I suoi resti sono ancora visibili, un suggestivo relitto abbandonato sferzato dal vento. Una volta esisteva una strada che portava ai resti del Douglas DC-3, ma ora non più, ed è quindi necessario percorrere un sentiero di 4 km in quello che sembra un deserto inospitale con un vento gelido come unico compagno di viaggio.
Il promontorio di Dyrhólaey e i puffin
L’arco di pietra di Dyrhólaey è una delle formazioni più famose dell’isola. È qui che abbiamo avuto la possibilità di vedere da vicino i puffin, i famosissimi e teneri uccelli dal becco arancione e il buffo modo di volare che popolano l’isola. I pulcinella di mare (o fratercula) possono essere visti sulle scogliere solo d’estate prima che emigrino in gruppo verso l’oceano.
Da questo promontorio si gode di una vista privilegiata sulla spiaggia nera di Reynisfjara e Reynisdrangar i faraglioni di roccia vulcanica che emergono dall’oceano. È qui che Bon Iver girò la clip di Holocene.
Ci troviamo poco distante da Vík, una cittadina minuscola protagonista di una recente serie Netflix: Katla.
Alloggiamo presso la Giljur Guesthouse, una delle sistemazioni migliori del nostro viaggio (di cui ho parlato maggiormente qui).
Giorno 5: Reynisfjara, la spiaggia nera d’Islanda, glacial lagoons e Diamond beach
La chiesetta bianca e rossa di Vík i Myrdal svetta in alto dominando il villaggio. A poca distanza facciamo colazione da Skool Beans, un vero e proprio autobus adibito a bar di un colore giallo intenso in netto contrasto con il verde delle colline e la nebbia che le circonda. Qui si servono caffé, muffin e bagel d’asporto.
Reynisfjara, la spiaggia nera d’Islanda
Camminare sulla spiaggia nera di Reynisfjara con il cielo lievemente plumbeo e il vento che sferza le onde è una delle esperienze più potenti che abbia mai provato. La sensazione di libertà dell’oceano gelido del nord, Reynisdrangar, i faraglioni che emergono dall’acqua come divinità primordiali di roccia vulcanica, le colonne basaltiche che ricordano l’organo di una chiesa dove l’unico Dio a cui ci si inginocchia è la potenza della roccia e dell’oceano.
Tutto questo è Reynisfjara.
Fjaðrárgljúfur, il canyon scolpito dal fiume Fjaðrá
A un’ora di macchina da Vík proseguendo verso est lungo la Hringvegur, prendiamo una brevissima deviazione per raggiungere Fjaðrárgljúfur, un canyon maestoso, alto 100 m e lungo 2 km, che offre scorci e punti panoramici imperdibili. Questo canyon è diventato famoso per un videoclip di Justin Bieber, ma la sua bellezza parla da sé.
Fjallsárlón, Jökulsárlón glacial lagoon e Diamond beach, la spiaggia di diamanti
Proseguiamo fino alle pendici del Vatnajökull, il ghiacciaio più grande d’Europa, per ammirare le lagune glaciali di Fjallsárlón e Jökulsárlón. Qui blocchi di ghiaccio galleggiano sull’acqua dopo essersi staccati dal vicino ghiacciaio che purtroppo continua a ritirarsi di anno in anno a causa del cambiamento climatico.
Il colore blu intenso si intervalla a blocchi bianchi e grigi, colore dovuto alla polvere vulcanica.
Questi iceberg trasportarti dalla corrente sfociano nell’oceano, ma alcuni di loro si arenano sulla Diamond Beach, che prende questo nome proprio per l'effetto che questi pezzi di ghiaccio scintillante creano a contrasto con la sabbia color nero pece.
Fjallsárlón è la laguna meno famosa, e per questo la meno turistica, ma è a Jökulsárlón che abbiamo visto per la prima (e ahimé unica volta in Islanda) coppie di foche nuotare liberamente in questo luogo ai limiti della fantasia.
Per cena ci fermiamo a Höfn, cittadina portuale famosa per l’icelandic lobster (in islandese humar), ovvero i crostacei che noi comunemente chiamiamo scampi. Hafnarbúðin è un locale minuscolo il cui piatto forte è proprio la baguette di scampi.
Giorno 6: trekking sul ghiacciaio Vatnajökull
Vatnajökull è il ghiacciaio più grande d'Europa per volume e il secondo per estensione (dopo l'Austfonna, ubicata sull'isola di Nordaustlandete appartenente all'arcipelago delle Svalbard). È la quarta massa di ghiaccio al mondo dopo la calotta glaciale dell'Antartide, la calotta glaciale della Groenlandia ed il Campo de Hielo Sur in Patagonia.
Fare trekking sul ghiacciaio è un’altra delle esperienze che ricorderò maggiormente del mio viaggio in Islanda. Se non si è esperti, è assolutamente obbligatorio affrontare questo trekking con una guida. Noi ci siamo affidati a Glacier Adventure.
Dopo essere stati muniti di ramponi, caschetto e piccozza rompighiaccio, ci avviamo con un’auto 4x4 verso la nostra destinazione: Breiðamerkurjökull, una grande lingua di ghiaccio che discende dal versante meridionale del Vatnajökull. Alla fine del XIX secolo la lingua del ghiacciaio si spingeva fino al mare, ora a causa del cambiamento climatico è situata a più di 3 chilometri dalla costa.
Dopo aver parcheggiato, ci aspetta un ulteriore camminata. Prima di indossare i ramponi, la guida ci conduce in una grotta dalle pareti ghiacciate blu intenso in cui è impossibile comunicare a causa del rumore assordante dell’acqua. Il posto è ultraterreno, ma non è il motivo del nostro viaggio. Indossiamo i ramponi e cominciamo la nostra scalata. Il ghiaccio ha un colore cinereo, dovuto all’attività vulcanica della zona. È qui che sono state girate le scene del film Interstellar ambientate sul pianeta di ghiaccio e roccia.
Il trekking dura un pomeriggio, ma non è eccessivamente impegnativo ed è una delle esperienze più uniche che si possano sperimentare in Islanda.
Giorno 7: Stokksnes e la chiesetta blu di Seyðisfjörður
A poca distanza da Höfn, ci godiamo un paio d’ore di relax, nelle Hoffell hot tubs, pozze di acqua color verde-azzurra immerse nel verde con le montagne all’orizzonte. Passeremo la giornata prevalentemente in macchina per raggiungere Seyðisfjörður, la nostra destinazione finale, sul lato est dell’isola.
La nostra prima tappa è il promontorio di Stokksnes. Dal Viking café, dove si paga l’ingresso, si può raggiungere il set cinematografico di un villaggio vichingo per poi proseguire verso la spiaggia di sabbia nera da cui si ammira il Vestrahorn, una montagna suggestiva che si riflette sull’acqua della risacca. L’atmosfera è cupa e struggente, solitaria e bellissima. Su quella spiaggia ero da sola, il vento e qualche sporadico uccello a tenermi compagnia. Si dice che qui sia possibile ammirare le foche, anche se noi non abbiamo avuto la fortuna di vederle.
Giungiamo a Seyðisfjörður, un piccolo paesino incastonato tra i fiordi orientali dell’Islanda, punto di attracco di traghetti e navi da crociera. La cittadina ha l'aspetto di un paesino dei Fiordi Norvegesi, ed infatti i commercianti che nel XIX secolo vi si stabilirono, attirati in particolar modo dal fiorente commercio dell’argento del mare, l’aringa, importarono gli edifici in legno direttamente dalla Norvegia. La chiesetta blu, Bláa Kirkjan, è il simbolo di Seyðisfjörður, assieme alla stradina di ciottoli color arcobaleno che dal centro del paese conduce all’ingresso, omaggio alla comunità LGBT, nonché uno dei luoghi più instagrammati di tutta l’Islanda.
Il paesino è minuscolo e i locali si contano sulle dita di una mano, ma la sera abbiamo cenato in un posto davvero pittoresco, il Kaffi Lára El Grilló Bar.
Giorno 8: ancora cascate, la regione di Mývatn e arrivo a Húsavík
Da Seyðisfjörður la prima tappa è Stuðlagil, un canyon di colonne basaltiche al cui interno scorre un fiume di un azzurro intenso. Oltre a un punto di osservazione raggiungibile in auto, è possibile, dal lato opposto, percorrere un sentiero e giungere fino ai piedi del canyon con una passeggiata di un'ora circa.
Proseguiamo lungo la Hringvegur, fermandoci solo per un hot dog al volo da Fjalladýrð Kaffi, un café disperso nel nulla, in quello che sembra quasi un deserto del Far West.
La cascata che ci apprestiamo a vedere di lì a poco è una delle mie preferite del viaggio, la più maestosa e sconvolgente: Dettifoss. Non si tratta della cascata più alta d’Islanda, né della più grande, ma è sicuramente la più potente, uno spettacolo della vera forza della natura.
Dal parcheggio di Dettifoss, è possibile raggiungere altre due cascate Selfoss e Hafragilfoss.
In 3 ore di strada il paesaggio è cambiato completamente, dai cupi fiordi dell’est, attraverso lande desertiche, colline verdi e zone geotermiche dai colori rosso-aranciati. Ci troviamo infatti nella zona del Mývatn, un lago attorno al quale si trovano alcune delle attrazioni più conosciute d’Islanda.
Questo è uno dei pochi laghi al mondo dove si possono trovare i marimo, delle piccole alghe verdi a forma di palla che sono diventate molto popolari negli ultimi anni (io ne ho due, ad esempio). Oltre che nel Lago Mývatn, si trovano nel Lago Akan in Giappone. Mari in lingua giapponese significa biglia. Mo è un termine generico per indicare le piante che crescono in acqua.
Spostandoci verso nord raggiungiamo la regione vulcanica del Krafla, dove troviamo il cratere Leirhnjukur con i suoi campi di lava attraversati da una passerella. Qui troviamo una zona geotermica ancora attiva, con fumarole e un odore di zolfo che appesta l’aria. I colori sono ultraterreni: nero, rosso, arancione, bianco, blu, verde.
A poca distanza Víti, (che in islandese significa inferno) un cratere con all’interno un lago di un colore blu intenso.
Per raggiungere l’area geotermale di Hverir dobbiamo attraversare la centrale elettrica geotermica di Krafla, un luogo che sembra quasi uscito da un racconto dispotico, con le volute di fumo che si innalzano nell’aria, le colline dai colori caldi che la circondano e che ci fanno sentire più su Marte che in Europa.
Hverir è uno spettacolo per gli occhi, anche se non altrettanto per l’olfatto: l’odore di zolfo è fortissimo. Fumarole, acqua che ribolle, pozze fumanti che emergono dal terreno, bocche affamate dai mille colori: giallo ocra, arancione, grigio, bluastro.
Non è solo l’odore a mettere a dura prova la nostra sopportazione, Mývatn in islandese significa “lago dei moscerini” e lo è non solo di nome, ma di fatto. Nugoli di insetti ci hanno inseguito per tutto il pomeriggio, rendendoci la vita un vero inferno. Consiglio vivamente di acquistare una retina per proteggere il viso dai moscerini (noi non l’abbiamo acquistata e ci siamo pentiti amaramente).
Giorno 9: whale watching a Húsavík
Arriviamo finalmente a Húsavík, cittadina del nord conosciuta in modo particolare per l'osservazione delle balene, tanto da essere soprannominata la "capitale mondiale dell'osservazione dei cetacei”.
Da qui partono ogni giorno spedizioni alla ricerca di balene e balenottere. Noi ci siamo affidati a North Sailing, una delle tante agenzie che organizzano questo tipo di escursioni.
Non utilizzando radar né altri metodi per cercare e attirare le balene, la visione dei cetacei non è assicurata, nonostante siano in molti a popolare la baia. Noi siamo stati fortunati ad avvistare un paio di esemplari di minke whale, ovvero balenottera minore.
Nella cittadina non sono presenti particolari attrazioni oltre a un paio di ristoranti, un negozio di fish & chips e il museo della balena. Ciò nonostante, Húsavík appare come il tipico paesino nordeuropeo affacciato sul mare, con le barche attraccate al porto e l’odore di pesce fritto nell’aria.
Dopo la nostra spedizione in mare, proseguiamo verso Goðafoss, la cascata degli Dei. Leggenda narra che nell’anno 1000, Þorgeir Ljósvetningagoði (Lögsögumaður, ovvero l’oratore delle leggi) dopo aver scelto il Cristianesimo come religione ufficiale d’Islanda, gettò le statue degli dèi nordici di sua proprietà nella cascata, da qui il nome.
Giorno 10: verso Vestfirðir, i fiordi occidentali
Partiamo da Húsavík con l’obiettivo di raggiungere entro sera i fiordi occidentali. Per prepararci a quasi 10 ore di auto, decidiamo di fermarci a Reykir - Grettislaug hot springs per scaldarci le ossa in vista di una giornata faticosa (ne parlo qui).
Dopo circa un paio d’ore raggiungiamo Hvítserkur, un faraglione basaltico alto 15 metri che assomiglia ad un grosso animale: un elefante o un rinoceronte, a voi la scelta. Hvítserkur in islandese significa “camicia bianca”, nome che deriva dal guano lasciato dai molti uccelli che vi dimorano. Qui vicino è possibile ammirare anche le foche, se si ha abbastanza pazienza e fortuna.
La nostra guesthouse per la notte si trova a Bíldudalur, nella parte sud-ovest dei fiordi. In Islanda il sole tramonta attorno alle 10 di sera in agosto, ma abbiamo molta strada da percorrere e i fiordi sono imperdonabili nella loro labirintica tortuosità.
Dopo diverse ore, il cielo comincia a cambiare colore, passando dal blu al rosa all’arancio, con spiragli che penetrano le nuvole a creare uno dei tramonti più indimenticabili della mia vita.
Ci fermiamo ad ammirare questo spettacolo della natura, è impossibile rimanere impassibili di fronte a tanta bellezza. Arriviamo all’Harbour Inn guesthouse alle 10 passate, sistemiamo le valige in una camera che dà sul porticciolo e prepariamo una delle nostre cene a base di riso e fagioli in scatola della Heinz per poi crollare a letto e tentare di riposare il più possibile in vista di una seconda giornata tra i fiordi.
Giorno 11: esplorando i fiordi occidentali
Un’attenta esplorazione dei fiordi islandesi richiederebbe almeno 3 giorni di tempo, tempo che purtroppo non abbiamo. Percorriamo i fiordi attraversati il giorno prima alla volta del sud.
Passiamo per il relitto del Garðar BA 64, un’ex baleniera convertita alla pesca delle aringhe che, nel 1981, dopo essere stata dichiarata non più utilizzabile, invece di essere affondata, venne fatta arenara nella valle di Skápadalur, dove rimane fino ad oggi, cadendo a pezzi a poco a poco, creando un’atmosfera suggestiva con i fiordi a farle da sfondo.
Arriviamo alla spiaggia dorata di Rauðasandur, uno degli scenari più suggestivi dei fiordi occidentali. Questa spiaggia, anziché essere nera come le classiche spiagge islandesi, è di un colore dorato: i fiordi occidentali non sono più vulcanicamente attivi, quindi non vi è la creazione costante di sabbia nera come nelle altre zone dell'isola. In questo luogo etereo si possono ammirare le foche e camminare tra la sabbia dorata in un’atmosfera di pace assoluta.
Il parcheggio si trova vicino a Saurbæjarkirkja, una chiesetta nera col tetto rosso che sembra spuntare dal nulla.
I fiordi occidentali sono la regione meno visitata d’Islanda, solo il 10% dei turisti si avventura fino a qui, non solo perché si trova in una zona remota, ma soprattutto perché questi percorsi richiedono molto tempo e si tendono a privilegiare le attrazioni lungo la Ring Road, più comode, conosciute e, secondo alcuni, più belle.
La verità è che i fiordi sono forse la regione che più mi è rimasta nel cuore di tutta l’isola. Forse proprio perché si tratta di zone remote e poco conosciute, dove l’acqua chiama a sé la terra ed è un tutt’uno con essa, dove il nord è padrone assoluto e i colori non hanno bisogno del sole per essere spettacolari.
Non visitiamo Látrabjarg, la punta più occidentale d’Europa, una scogliera a picco sul mare dove i puffin nidificano d’estate, in quanto scopriamo che i nostri simpatici amici avvistati a Reynisfjara sono già partiti alla volta dell’oceano. Ci risparmiamo questa deviazione e proseguiamo verso sud, abbandonando i nostri amati fiordi verso nuove avventure.
Giorno 12: la penisola di Snæfellsnes
Lunga 100 km e a poca distanza da Reykjavík, la penisola di Snæfellsnes è ideale per chi ha poco tempo a disposizione e vuole un assaggio dell’Islanda senza doverne percorrere l’intero perimetro. Qui troviamo fiordi, scogliere, spiagge dorate e campi di lava. L’intera zona è dominata dalla calotta glaciale dello Snæfellsjökull, immortalata nel romanzo di Jules Verne "Viaggio al centro della terra".
I campi di lava di Berserkjahraun
La nostra giornata ha inizio con l’attraversamento in macchina dei campi di lava di Berserkjahraun, uno spettacolo apocalittico e meraviglioso. Il nero della lava intervallato dal verde dell’erba, pecore che brucano in lontananza, colline dalle venature rosse che si perdono a vista d’occhio.
Qui non ci resta che fermarci a ogni piazzola di sosta per godere del panorama e scattare foto che cercano senza successo di catturare la bellezza del luogo.
Kirkjufell, la montagna della chiesa
Raggiungiamo Kirkjufell, una montagna alta 463 metri diventata famosa per essere stata uno dei luoghi di ripresa di Game of Thrones. Kirkjufell in islandese significa Montagna della chiesa, in quanto la sua forma particolare ricorderebbe la forma di un campanile.
Murales di Hellissandur
Uno dei punti di interesse nei pressi della cittadina di Hellissandur è il ghiacciaio Snæfellsjökull, reso famoso da Jules Verne nel suo Viaggio al centro della Terra. Ma non solo, Hellissandur ha guadagnato la reputazione di capitale della street art. Nell'estate del 2018, un team di artisti internazionali venne convocato a Hellissandur per trasformare una fabbrica di pesce abbandonata e altri edifici disadorni sparsi intorno alla città in 30 grandi opere d'arte.
Saxhóll, Djúpalónssandur e Búðakirkja
Raggiungiamo il cratere Saxhóll, la cui cima è facilmente raggiungibile grazie a una scalinata, per poi proseguire verso la spiaggia di sabbia nera di Djúpalón, altro luogo suggestivo in cui passeggiare a pochi passi dal mare. Camminando verso la riva, si notano i resti del motopeschereccio inglese Eding che naufragò qui nel 1948. Si possono, inoltre, vedere i quattro massi da sollevare, con cui gli equipaggi testavano la forza degli aspiranti pescatori.
Ultima tappa della giornata è Búðakirkja, altra chiesetta nera molto suggestiva prima di tornare nella capitale.
Giorno 13: tentativo di scalata del vulcano Fagradalsfjall e Blue Lagoon
La nostra intenzione sarebbe stata quella di assistere all’eruzione del vulcano Fagradalsfjall, iniziata nel marzo 2021 e tutt’ora attiva. Nonostante l’eruzione sia abbastanza frequente e sia possibile arrivare molto vicini alla bocca del vulcano grazie a un trekking di qualche chilometro lungo un sentiero tracciato, noi abbiamo deciso di aspettare per vedere se l’eruzione avrebbe effettivamente avuto luogo quel giorno. La fortuna non è stata dalla nostra parte, abbiamo quindi deciso di non avventurarci lungo il trekking senza la certezza di poter assistere all’eruzione e abbiamo optato per una visita ai faraglioni di Valahnúkamöl, seguita da un pomeriggio di relax alla Blue Lagoon di cui parlo qui.
Giorno 14: Reykjavík e ritorno
Dedichiamo l’ultimo giorno a Reykjavík. La capitale del paese è piccola e visitabile in giornata, decidiamo quindi di goderci l’atmosfera del porto, visitare Hallgrímskirkja, la chiesa modernista più grande d’Islanda e il Museo fallologico islandese. Questo museo dedicato all'organo sessuale maschile contiene 280 peni di 93 specie animali ed è un luogo davvero unico nel suo genere.
Finalmente a Reykjavík abbiamo anche la possibilità di assaggiare prodotti tipici locali senza dover spendere un rene e goderci la vita di una città, dopo tanti giorni trascorsi in mezzo al nulla. Qui racconto di cosa ho mangiato a Reykjavík (e in Islanda in generale).
Questi 14 giorni in Islanda rimarranno scolpiti nella mia testa, nel mio cuore e ora anche in questo articolo. È stato non solo uno dei viaggi più intensi ed emozionanti della mia vita, ma anche un balsamo per l’anima, una cura che forse solo la natura più incontaminata sa donare. Posso solo salutare questo paese che ho cominciato a sentire come mio e spero di avergli fatto giustizia con i miei racconti perché non è facile racchiudere una bellezza aliena in parole umane.
Sjáumst fljótlega, Ísland.
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